Diciamo che questo articolo, non tratterà di arte.
Sarà come un breve saggio psicologico costellato qui e là di immagini artistiche. Perché dite? Perché dal mini pulpito della mia laurea in psicologia, trovo affascinante quello che sta succedendo in questo momento nel mondo, in particolare in Italia. Il blog è anche a tema psicologico, quindi tutto a posto. Ma essendo anche molto a tema artistico, bisognerà trovare il modo di piazzare un po’ di arte qui e là.
Professionalmente parlando dovrei dire:
“Perché la visione di opere d’arte conosciute e riconoscibili dalla collettività, hanno un effetto confortante, inclusivo e rilassante”
Però…

Già se mostrassi questa immagine, l’effetto potrebbe essere poco rassicurante. Potrebbe essere letto come un articolo pessimista e ammantato di nero e di rosso.
Tranquillizzatevi. Certi argomenti vanno tagliati con l’ironia, con l’intento che la lettura – chiunque la faccia- porti beneficio e leggerezza.
Cosa mi incuriosisce molto? La straordinaria capacità, che di solito è molto visibile nei bambini a partire dai 2 anni– e negli uomini qualcuno direbbe, ma io non sono femminista- di fare esattamente il contrario di quello che viene chiesto di non fare, nel momento in cui viene chiesto di non farlo. Vi piacerebbe sapere perché accade da un punto di vista socialmente accettato e psicologicamente pertinente ? Bene!
“Eva, non cogliere la mela da quell’albero”

Ed ecco qui!
“Orfeo, non voltarti mentre Euridice ti segue”

Appunto!
“Icaro, non volare troppo vicino al sole”

Ti pareva…
“Afrodite (ma va bene per tutti), non tradire il tuo coniuge”

Ci avrei giurato…
“Italiani, non lasciate le vostre case”

Vabbè qui direi di stendere un velo
Sembra esserci una sorta di formula magica che nel momento in cui chiedi, ordini, imponi, di non fare una cosa, non ci sia modo di resistere. Eppure, avete notato che avviene molto di più quando si vieta una cosa piuttosto che quando si chiede di farla? Anche un ordine imposto può avere un effetto negativo di rifiuto, ma in quel caso la cosa è diversa.
Il dire, chiedere, ordinare, imporre il FARE, presuppone che a seguito della richiesta ci sarà una azione pratica che modifichi un oggetto o una situazione. Impone l’attività.
Il dire, chiedere, ordinare, imporre il NON fare qualcosa, presuppone l’immobilità. Ed è lì che il meccanismo si inceppa.
La stasi, la non mobilità, il divieto innesta un meccanismo nella mente e nel corpo dell’uomo, che si sfilaccia in diverse arterie:
- sentirsi chiuso
- desiderio di ribellione, di andare contro
- di vedere cosa c’è oltre quel divieto
1: Etologia della gabbia
Una restrizione come lo “stare a casa” o restare nel territorio ha avuto lo stesso effetto del sentirsi chiudere in una bara di legno e venire sepolti vivi in mezzo al deserto. La gente, seppur senza un’autentica imposizione (al tempo), si è vista e sentita presa in una morsa e già si vedeva murata viva e destinata a morire di fame e di sete divorata dai cani alsaziani (quanto mi piace fare questa citazione tutte le volte!).
Anche chi finora aveva trovato piacere nello stare a casa, nel crogiolarsi sul proprio divano, improvvisamente si ritrova con la sindrome della gobba da zaino in spalla e scarponcini ai piedi pronto a fare il cammino di Santiago e ritorno. Anche se prima non ci aveva mai pensato.
Una pigrizia collettiva che deriva da uno stile di vita sedentario, tutto tecnologia e social improvvisamente diviene dromomania.
Questo atteggiamento c’è sempre stato, ma è innegabile che oggi è al culmine, poiché la libertà è diventata quasi sconfinata. La cosa tenera, che ci fa piegare la testa di lato ed emettere un rantolo di accondiscendenza, è che proprio nel momento in cui questa libertà è al suo culmine, l’essere umano è trincerato dietro un account, uno schermo, un profilo. E molti aprono la bocca solo in funzione di quel vetro protettivo dove nessuno ti può realmente toccare.
Ma nel momento in cui la libertà viene minata, in cui un altro ti dice di fare quello che faresti già da solo tutti i giorni – stare col culo sul divano a scrivere stronzate sui social – lì scatta la fame d’aria.
2: Ribelle fa sempre fico
Andare contro il potente ha sempre esercitato un gran fascino. Tutti avevamo il fico della classe che prendeva costantemente 4 perché, per partito preso, doveva schifare i libri anche se magari aveva un cervello niente male e mandare in vacca la prof.
Se glielo chiedevi, rispondeva con il solito meraviglioso set di luoghi comuni del tipo “Io gioco secondo le mie regole”
“la mia libertà inizia dove finisce la tua”
“nessuno può domarmi!”
Vabbè… e qui sentivi in sottofondo i nitriti.
Solo che c’è una differenza immensa fra essere William Wallace e combattere per una libertà tolta ingiustamente e infischiarsene di quelle che sono norme e regole che potrebbero essere utili per gli altri, nonché per il diretto interessato. Ma del resto, empatia, questa sconosciuta. In uno dei primi articoli qui, parlavo proprio di questo, della speranza di vivere in un mondo non indifferente.
3: Cosa c’è dietro la siepe?
Pandora, fanciulla della mitologia greca, aprì lo scrigno con dentro tutti i mali nonostante il divieto tassativo di non aprirlo. Si era convinta che dentro vi fosse qualcosa che l’avrebbe resa più saggia, più bella, immortale… Dietro una restrizione c’è sempre anche una componente di curiosità. “Non posso, perché…????
Se nel caso attuale è per fare in modo che una situazione potenzialmente scomoda non dilaghi e non ingigantisca, c’è sempre uno che si crede più furbo. Qualcuno che è convinto che dietro la restrizione ci sia un complotto, un modo di fregarti il cestino del pranzo da sotto al banco. E allora tocca scappare!
Per vederla con una accezione positiva, diciamo anche che spesso dietro al superamento di una restrizione c’è stato anche salvataggio di vite, scoperte incredibili, superamento dei limiti. Perché nelle caratteristiche gradevoli dell’essere umano, c’è sempre un desiderio di superare i propri limiti.
Ma non è questo il nostro caso.
Tutto ciò, come interessa a me, interessò nel 1966 lo psicologo Jack Brehm. Dopo di lui, molti altri, quali Miller, Silvia, Dillard e Shen. Il fenomeno viene inserito nelle fila della psicologia sociale e chiamato REATTANZA (reactance, to react; in inglese, reagire). L’insostenibile leggerezza della reattanza.
Letteralmente la reagiscienza.
Si tratta di una reazione emotiva di stampo negativo che sovviene quando persone, regole o situazioni eliminano o minano la nostra libertà comportamentale.
Succede in maniera superficiale per via di quei tre meccanismi visti poco sopra (gabbia, ribelle che fa fico, siepe).
Andando però più a fondo accade in quanto, la restrizione che provoca immobilità (il non fare) viene vista come naturale interruzione di un diritto che nella psicologia collettiva è ormai naturale come respirare. Avviene come frutto di una pressione esterna che porta i riceventi ad essere motivazionalmente eccitati.
Cioè, chi riceve l’imposizione è convinto di avere una motivazione più che concreta per la quale agire e provocare una contro-forza. Il che significa, fare tutto il contrario di quello che gli viene richiesto. Al fine di ripristinare lo stato di partenza, la libertà perduta.
La forza della reattanza ha una relazione diretta con l’importanza della libertà che viene tolta.
Inoltre, la reattanza è stata studiata su diverse categorie sensibili, come i bambini e anche gli adolescenti, che spesso sono soggetti a fasi di ribellione. Una grossa porzione di effetto “reattivo” deriva dalla inevitabile imitazione e desiderio di appartenenza ai cosiddetti “gruppi di pari” (quelli che in cortile fumavano e tu lo facevi solo per sentirti un pari). Il che è abbastanza ingenuo, visto che se ognuno di noi si fermasse a capire realmente cosa considera giusto o sicuro per sé stesso – e non per quello che percepito nella società – capirebbe che vi è più di un modo di considerare la libertà.
Ma vi è un solo modo di rispettare delle normative, se sono atte a risolvere prima il problema e a restituire a tutti la libertà. Libertà di uscire, di vivere ma soprattutto di rimettere il culo sul divano perché l’ho deciso io, non perché qualcuno me lo impone.
Poi, in questo caso specifico, si dovrebbe parlare anche di nevrosi collettiva, di stress diffuso anche dalla confusione di notizie e tante altre belle cose.
Alla reattanza vi sono dunque tre modi di reagire:
- Ristrutturazione cognitiva della situazione di partenza (attivo il cervello, cerco di capire perché mi è stato imposto questo, ne accetto i lati positivi e lo faccio).
- Comportamento di compensazione (faccio come mi dici, ma allo stesso tempo cerco qualcosa che compensi la mia stasi).
- Contro-azione (faccio esattamente il contrario con un’abbondante porzione di atteggiamento negativo tendente al rabbioso). Purtroppo per questa reazione vi è un alto indice di gradimento…
Precisazione importante: la reattanza si attiva solo in caso in cui vi sia una attivazione (arousal) di qualche tipo di interesse verso la cosa che proibiscono di fare. Per dire, se a un allergico al latte, viene consegnato uno stock di gelati, chiedendo di non mangiarli, ci sono buone possibilità che lo farà senza problemi; di base, non gli interesserà.
Ma la libertà piace a tutti! Poco da fare…
Non concludo con nessun tipo di paternale sulla necessità di mantenere la testa sul collo e seguire le direttive. Non voleva essere un articolo per dire la mia. Solo per soddisfare una curiosità.
Chiudo con un’opera stupenda di un artista, grande amico della reattanza.

Buona quarantena a tutti!
Illustrazioni:
Zdzislaw Beksinski, “Untitled”, 1976
Lucas Cranach Il Vecchio, “Adamo e Eva“, 1538, National Gallery, Praga
C.G. Kratzenstein – Stub, “Orfeo e Euridice”, 1806, Carlsberg Glyptotek, Copenhagen
Jacob Peter Gowy, “La caduta di Icaro”, 1636-38, Museo del Prado, Madrid,
Jacopo Tintoretto, “Venere e Marte”, 1551 -1552, Alte Pinakothek, Monaco di Baviera
Michelangelo Merisi, “Madonna dei Palafrenieri“, Galleria Borghese, Roma
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