Avete mai pensato come venne in mente l’idea dei moderni hashtag, così indispensabili alla comunicazione di oggi? Certo! E in ogni caso l’arte c’entra poco. Però, se dovessimo raccontare di un fil rouge che collega la storia alla storia dell’arte, si potrebbe chiamare: Alighiero Boetti, il primo hashtaggatore. Mi sono ritrovata per le mani una foto vecchia di sei anni fa. All’epoca ero in un noto archivio di arte Romano con delle mie colleghe e mi imbattei in questa:

Sinceramente, non ricordo se fosse una riproduzione, probabilmente autentica. Ricordo stava in una cartellina, ma si poteva visionare. Si trattava di una carta con firma Alighiero Boetti: sulla carta sono scritte cinque emblematiche parole, una dietro l’altra, senza spazio per gli occhi e per l’aria nel leggerle.
vedere – udire – odorare – toccare – gustare – pensare
vedereudireodoraretoccaregustarepensare
E la corrispondente traduzione in tedesco.
Provate a leggerle una dietro l’altra velocemente. Non è facile. Perché prima dovete leggerle piano, dare il tempo agli occhi di separare le vocali e mettere in ordine i cinque singoli concetti. Dopodiché chiedersi, “e quindi?”
Si tratta di cinque parole che hanno a che fare con la sfera sensoriale e cognitiva dell’individuo: di solito, queste azioni sono interconnesse tra di loro, per la forza del processo delle informazioni. Le funzioni cognitive di vedere, sentire, ma anche le altre, conducono quasi istantaneamente al pensare. In modo estremamente creativo e semplice, Boetti descrive una azione automatica e simultanea della mente e delle reazioni umane. Nello stesso modo in cui avvengono. In velocità.

Lo spazio fra parola e parola rappresenta il tempo che intercorre fra una azione e l’altra. E in quel meraviglioso sistema che è il processo cognitivo, il tempo è poco. E’ pulviscolo, non ci si accorge nemmeno che c’è.
Boetti militava le file dell’Arte Povera italiana, il celebre movimento artistico degli Anni ’60 e ’70 noto per l’uso della manualità, di un ritorno alla semplicità delle forme e di materiali modesti e facilmente reperibili. Tuttavia, la sua visione era più ampia e decisamente più “audace”. Comprendeva la quantificazione e la mostrazione dei fenomeni che ai più risultavano non quantificabili. Non per forza per incapacità matematica, quanto piuttosto per la tiepida attrattiva degli argomenti (I 100 fiumi più lunghi del mondo).
Quantificare, numerare, descrivere, mettere su carta: fare in modo che il pubblico o l’individuo si rendesse conto dei molti significati che poteva trovare in un’unica parola. Un modo di descrivere Boetti è la sua volontà di esibire la duplicità.
Lo speculare che esiste in una lettera o in una parola, i quali possono essere non solo modi di comunicare ma gesti dialettici. Un individuo in grado di leggere un’opera di Boetti, è in grado di vedere più di un aspetto di lui; vedere una sua volontà di ricerca che andasse oltre, in un momento storico-artistico che aveva avuto delle ricerche particolarmente ardite. Nelle sue celebri Mappe, per esempio, convivono confini, società, identità e geo-antropologia. Sempre dando importanza alla discrezione della anonimità.

Nel caso specifico di questo pezzo di carta, viene descritta la simultaneità nei gesti più elementari della cognizione umana e sensoriale. La velocità dei sensi a raggiungere il cervello e a fargli compiere azioni e decisioni.
Un proiettile umano, tradotto su carta. Questo è l’effetto della piccola opera che mi cadde felicemente tra le mani. Quel giorno non le diedi l’importanza giusta. Percepii solo la sua velocità e la sua simpatia. E insieme ad una mia amica ci venne in mente un collegamento.
Quelle lettere e la loro confusa vicinanza ci ricordarono molto i modelli #hashtag . In un certo senso la funzione era anche simile. L’hashtag nasce con funzione simbolica, letteraria, comunicativa e di collegamento allo stesso tempo. Una parola che racchiude molteplici significati ma anche molteplici direzioni. Una “porta” veloce che con la semplicità racchiude la complessità (non per niente # è un cancello).

Sempre cercando il fil rouge, se si dovesse paragonare l’uso e la simultaneità che ad oggi un hashtag ha in sé e come viene utilizzato per trovare e farci trovare, le cinque parole di Boetti hanno in sé lo stesso cuore. La capacità di farci pensare in più dimensioni e in più direzioni. La possibilità di andare da una sola opera a molti contenuti, siano cultura, siano arte, siano intelligenza. Nel caso specifico della opera su carta, che sia processo informativo.
Alighiero Boetti, il primo hashtaggatore voleva che aprissimo la mente, gli occhi e il cuore. L’hashtag ci fa aprire il link. Possiamo solo sperare che sia un link importante… #thebluedrop

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